La nascita di PsicoloGea

da | Nov 27, 2024 | psicologea | 0 commenti

Lo scritto che segue era la premessa, chiamata “speranza e dono”, che avevo scritto in apertura alla tesi magistrale scritta per la laurea in Psicologia Clinica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Al giorno d’oggi il tema della sostenibilità e il bisogno di un cambiamento radicale nella società verso un paradigma ecologico sono urgenze imminenti. Mi auguro che questa tesi possa essere un dono al destino della collettività di cui faccio parte, in direzione di questo cambio di paradigma verso l’armonia con il sistema vivente di cui facciamo parte: Gaia. 

È abbandonandomi alle potenti forze sorte dall’antica unione tra Urano e Gea che ho scoperto il Sé in quanto riflesso di Dio nell’anima dell’uomo. 

Vorrei sancire attraverso questo lavoro la determinazione di fare della pratica psicologica una disciplina a favore dell’armonia tra uomo e Natura che chiamerò PsicoloGea, scienza della psiche in quanto riflesso dell’Unità naturale di cui facciamo parte. PsicoloGea nasce dalla consapevolezza di essere Terra. 

Avviso oggi l’apoteosi dell’alienazione dal naturale, il culmine della separazione tra oggetto e soggetto, la morte di Dio che è esilio dell’anima. L’uomo è oggi una triste anima condannata a vagare tra i pascoli del grande spirito a cui non ha creduto. Tutto ciò presuppone la rinascita del numinoso in nuce all’anima, che può emergere solo dopo aver attraversato le abissali profondità dell’essere a livello collettivo. 

Il tramonto del patriarcato è alle porte, la speranza è riposta nella comunione degli opposti, in una nuova consapevolezza volumetrica del mondo, nel riconoscimento della bidimensionalità in quanto artifizio di un’esigenza umana che non può sussistere poiché votata a principi sterili, non generativi, violenti.

La partecipazione mistica alla vita, perduta per far posto all’Io razionale e all’autocoscienza è prigioniera della corazza, chiede di essere rigenerata dalle ceneri dell’uomo eterno, il quale ha continuato a vivere nascosto e sacrificato per poter sopravvivere ed oggi torna a scalfire la dura porta delle nostre certezze.

Questa speranza e questo dono provengono anche dalla riflessione profonda sulle parole di Carl Gustav Jung. Specificamente sulla domanda che lui stesso pone nelle seguenti righe e che recita: “[…] L’individuo sa che è lui l’ago della bilancia?” Domanda alla quale cercheremo di rispondere nella conclusione di questo elaborato.

“Un’azione esercitata su tutti gli individui che si vorrebbero educare non potrà rendersi manifesta neppure dopo qualche secolo, poiché la trasformazione spirituale dell’umanità si attua quasi insensibilmente, nel processo dei millenni, né vi è modo di accelerarla o rallentarla con processi razionali, a tacere della possibilità di provocarla nel corso di una sola generazione. Sta invece nelle nostre possibilità di provocare un mutamento nei singoli, i quali avranno o si procureranno a loro volta la possibilità di influenzare, in una cerchia ristretta o più larga, coloro che la pensano in modo non dissimile. Con ciò io non penso a un’opera di convincimento o di predicazione, ma accenno al dato sperimentale che ogni uomo che possiede l’intelligenza del proprio fare e ha raggiunto così l’accesso all’inconscio esercita involontariamente un’azione sul proprio ambiente. L’approfondimento e l’allargamento della coscienza genera l’effetto che i primitivi chiamano mana. Si tratta di un influsso involontario sull’inconscio degli altri, in certo senso di prestigio inconscio, che conserva tuttavia il suo effetto soltanto finché non avviene deliberatamente. Inoltre, lo sforzo verso l’autoconoscenza è fruttifero anche perché giunge qui in soccorso un fattore che è stato sinora fondamentalmente trascurato: L’inconscio spirito del tempo, che compensa la presa di posizione della coscienza e anticipa quasi per presentimento le modificazioni future. Un chiaro esempio, in questo senso è dato dall’arte moderna, che compie sul pubblico, sotto la parvenza di un problema estetico, un lavoro di educazione psicologica, ossia la distruzione dell’idea estetica sinora vigente, del concetto del bello formale, la dissoluzione del significativo, contenutistico. […] Sinora la grande arte ha sempre tratto ispirazione dal mito, ossia da quell’inconscio processo di simboli che procede lungo gli evi e che, quale manifestazione originaria dello spirito umano, sarà probabilmente la fonte anche di ogni creazione futura. L’evoluzione dell’arte moderna, con la sua tendenza dissolvitrice, apparentemente nichilistica, va intesa come sintomo e simbolo di un’atmosfera di tramonto e rinnovamento del mondo, caratteristica dei nostri tempi. Noi viviamo nell’attesa di un “mutamento delle forme degli Dei”, ossia dei principi e simboli fondamentali. Quest’esigenza del nostro tempo, che davvero non abbiamo scelto coscientemente, è l’espressione dell’uomo interiore e inconscio che si trasforma. Di questo mutamento gravido di conseguenze dovranno rendersi conto le generazioni future, sempreché l’umanità voglia salvarsi dall’autodistruzione che la minaccia per la potenza della sua ricerca tecnica e della sua scienza. Come all’inizio dell’era cristiana, si pone di nuovo il problema dell’arretratezza morale generale, che non sembra adeguata all’evoluzione moderna, scientifica, tecnica e sociale. La posta è grande e troppo dipende oggi, manifestatamente, dalla struttura psicologica dell’uomo. Saprà egli resistere alla tentazione di fare uso del suo potere per mettere in scena un’apocalisse? Si rende conto della strada su cui si trova e delle conseguenze finali che dovrebbe trarre dalla situazione del mondo e della propria anima? Sa che sta perdendo il mito, conservatore di vita, dell’uomo interiore, che il cristianesimo conservò per lui? È in grado di immaginare ciò che accadrebbe se si producesse la catastrofe? Può in genere immaginare che ciò sarebbe una catastrofe? E finalmente, l’individuo sa che è lui l’ago della bilancia? Felicità e contentezza, equilibrio spirituale e senso della vita possono essere sperimentati soltanto dall’individuo e non dallo Stato, che, da un lato, non è che una convenzione tra individui autonomi e, dall’altro, minaccia di farsi preponderante e di soffocare l’individuo. Il medico (e lo psicologo ndr.) è tra le persone che più sanno delle condizioni del benessere psichico, da cui dipende un’infinità di cose, nel processo di addizione sociale. Le condizioni temporali, sociali e politiche, hanno certo molta importanza, ma vengono smisuratamente sopravvalutate agli effetti della felicità o infelicità individuali, poiché vengono giudicate come gli unici fattori decisivi. Tutto ciò che è inteso a tal fine soffre del difetto di trascurare la psicologia dell’uomo, al quale asserisce di essere destinato, e di favorire soltanto le sue illusioni. Sia quindi concesso a un medico che si è occupato nel corso di una lunga vita delle cause e delle conseguenze dei disturbi psichici, di esprimere modestamente la sua opinione sui problemi che la situazione attuale del mondo pone a lui come uomo singolo. Non sono animato da eccessivo ottimismo né acceso da altri ideali, ma solo preoccupato, di quell’unità infinitesima da cui dipende un mondo, di quell’essere individuale in cui – se intendiamo rettamente il messaggio cristiano – Dio stesso cerca il suo scopo” (Jung, 1975, pp. 219-221)